Susanna Bontempo

Un raggio di sole filtrava dalla tapparella a stecche larghe inondando la camera da letto di piccoli rettangoli di luce. Sandra si girò sul fianco sinistro e i suoi occhi socchiusi incontrarono la nuca di suo marito Valerio. Ronfava piano come un gattone che fa le fusa. Ancora non si capacitava di questa facoltà tutta maschile di dormire così tranquillamente. Senza problemi, senza ansia o rimorsi con la stessa serenità di un neonato dopo la poppata. Gli bastava sprofondare nel cuscino e gli occhi gli si chiudevano in automatico come sotto l’azione di un contrappeso. Quando Valerio voleva dormire, tutto il resto non importava. Il resto restava fuori. Il resto toccava a lei. Sandra sentiva di avere una parte della sua vita che non riusciva ancora ad afferrare, mentre gli anni le sfuggivano uno dopo l’altro senza che fosse capace di fare qualcosa per fissare un obiettivo, una meta che la facesse sentire appagata. Anche una cosa piccola, ma in funzione di sé stessa. Faceva sempre lo stesso sogno. Correva a perdifiato per prendere l’autobus e quando gli arrivava a tiro, se lo vedeva sfilare davanti agli occhi senza che l’autista si accorgesse dei suoi gesti scomposti. Ogni volta si svegliava col batticuore e la sgradevole sensazione di essersi persa qualcosa di più dell’autobus.